18 febbraio 2006

terapia di gruppo

Di lunedì mattina il mio posto era al centro della fila, perché tutte quante potessero ascoltare le mie avventure del sabato sera.

E poi, giù coi commenti in quel dialetto stretto che faticavo a capire. Volevano sapere cosa facessi col moroso fino ai minimi particolari e per convincermi a parlare raccontavano della loro gioventù, roba da far arrossire una pornostar!

Meno male che sono una persona estroversa e s'imbarazza poco: in una squadra di mondine come la mia anche una donna muta si sarebbe messa a parlare di sesso!

Spesso i discorsi si facevano caldi, incandescenti, non tanto per l'argomento in sé, quanto per lo scontro di idee. A giugno, sotto elezioni, si litigava tanto per la politica.

La maggior parte di loro era democristiana, poche comuniste. La mia invece restava una voce fuori dal coro, visto che nelle prime stagioni non avevo ancora votato, sebbene avessi qualche idea, piuttosto confusa.

Una discussione poteva convergere sul futuro dei figli. Spesso dimenticavano che io ero "figlia" e non mamma. Sentirle parlare delle difficoltà per mantenere i ragazzi, farli studiare, dar loro un futuro sicuro mi fece avvicinare molto a mia madre, la sentii accanto come mai era capitato negli anni addietro, fu una scoperta, fu come aprire una finestra e vedere il mondo coi suoi occhi di genitore e tutto mi apparve più chiaro.

A volte le giornate volgevano in discorsi tristi, fatti di parole malinconiche, di lacrime trattenute, di ansie e di speranze. Qualche timore per il marito acciaccato, il figlio che non era tornato a casa la sera prima. Ci fu una giornata particolarmente dura, in cui cercammo di aiutare la Rusin a risolvere un problema secondo lei gravissimo: il suo primogenito aveva messo incinta la ragazza.

La donna era disperata, mondava e piangeva, imprecava, dicendo che non era possibile, con tutte le precauzioni che c'erano, restare incinte è perché lo si vuole e probabilmente la ragazza aveva incastrato suo figlio. Piano piano la facemmo ragionare, i due erano fidanzati da tempo, avevano entrambi un buon lavoro, bisognava solo cercare un appartamento in affitto e poi celebrare un matrimonio semplice, perché con poco preavviso diventava difficile organizzare una grande festa.

Verso fine giornata parve un po' più serena e noi evitammo di parlare dell'argomento.

Tramite altre persone venimmo a sapere che stavano sistemando una casa vicino alla Chiesa, piccola ma ben tenuta e che gli sposi sarebbero andati all'altare ai primi di settembre con pranzo e viaggio di nozze. Insomma, tutto a posto anche se con qualche sacrificio in più.

Del resto per la Rusin e per le altre donne era troppo importante che i figli si sposassero nei tempi giusti, facessero figli nei tempi giusti, conducendo una vita normale e ligia al lavoro. Le sorprese non erano bene accette e se adesso per una ragazza aspettare un figlio da single non è la fine del mondo, anzi, per molte resta un dono del Cielo, negli anni '80 sposarsi incinte non era il massimo della vita, decisamente no!

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