14 febbraio 2006

il fattore tempo


Non solo di orario lavorativo si parlava, ma anche e tanto del tempo meteorologico.

La situazione migliore per lavorare si creava in assenza di afa, con un venticello caldo e sole un po' coperto: una giornata così era da segnare sul calendario!

La pioggerellina poteva andare bene, l'acquazzone ci faceva uscire dal campo, soprattutto se accompagnato da forte vento.

Si abbandonava il lavoro non tanto per il fastidio dell'acqua addosso, ma perché la risaia si trasformava in un mare in burrasca e l'erba non la si vedeva più.

Tutte le mattine, durante il percorso in bici le anziane si perdevano in previsioni: "è brutto ad est, arriverà il temporale, speriamo dopo aver mangiato" oppure "è afoso, non si vede la Luna.. oggi non si respira" e via con le supposizioni del caso. Il detto "tempural ad matin al gà ne cò e ne fin" era una profezia: se si partiva di mattina col temporale, quello non finiva più, ce lo trascinavamo appresso tutto il santo giorno..

Se al risveglio pioveva la tenuta da lavoro comprendeva un piccolo impermeabile, chi l'aveva metteva il k-way, altrimenti si usavano quegli impermeabili color arancione regalati coi punti benzina: ci vedevano a 10 km...

Naturalmente capitavano acquazzoni estivi e, come al solito, se le altre correvano al riparo dai fulmini, io invece gli andavo incontro. Vi assicuro che spettacoli come quelli che ci sono in aperta campagna quando il cielo si oscura sono indescrivibili, indimenticabili. Se penso all'incoscienza di quei momenti...

ancora adesso è così. La sento ancora chiaramente la sensazione di ebbrezza fortissima, stordimento e odore di asfalto bagnato, stormi di uccelli che scappan via e il silenzio, poi.. la pioggia. Sento le prime gocce sulla pelle, vedo formarsi piccoli cerchiolini che si allargano nell'acqua, è buio ma sono solo le tre del pomeriggio. Un lampo fortissimo, il fragore del tuono e la pioggia finalmente scende libera... l'acqua scorre e l'aria è viva e frizzante, alzo le braccia e resto imbambolata a guardare i pioppi schiaffeggiati dalla grandine, i mulinelli d'aria che trasportano foglie.

In campagna il temporale resta un evento pauroso. Quante colleghe ho visto scappare a gambe levate per i fulmini, e, comunque, nella vastità dell'acqua a quadretti, un po' di timore veniva anche a me. Paura che subito superavo, correvo dentro alle marcite che per il vento divenivano masse verdi ondeggianti.. le altre mondine mi sgridavano, mi ordinavano di correre al riparo (mai sotto un albero eh?) ma per niente al mondo avrei voluto tornare indietro. Ferma, investita da quel turbinio d'acqua e ghiaccio mi sentivo fuori dal mondo, rapita e spazzata via! una pazza..

La sola pioggia invece non era mai un grosso problema. Lo diventava però quando ti beccavi l'acquazzone in piena risaia e ti toccava rimanere coi vestiti inzuppati per il resto della giornata, se questa si manteneva nuvolosa. Non sempre ci portavamo appresso l'impermeabile e perciò restavamo fradice finché non si tornava a casa. Si mondava col freddo alla schiena e alla pancia e alcune si ritrovavano il giorno dopo con l'influenza. Se però la tormenta colpiva durante uno di quei caldissimi pomeriggi di luglio, la consideravamo un regalo dal cielo!

Nel maggio in cui ci fu la perdita di radiazioni a Chernobyl i telegiornali consigliavano di lasciare fuori le scarpe e di stare all'aperto il meno possibile, soprattutto in caso di pioggia "acida" per evitare di contaminarsi durante il passaggio della nube tossica sull'Italia. Ebbene, noi mondine stavamo a mollo dalle 7 della mattina alle 5 del pomeriggio, con e senza pioggia, con e senza radiazioni...