E' così che decisi. Le vedevo sempre davanti al prestino di papà, pronte, con la lobia in testa, il foulard attorno al collo, le camicie ampie, i pantaloni corti e quelle scarpette da mare.
Un ciarlare continuo, pettegolezzi della sera prima, quando si attardano sedute sulla panchina di fronte al bar, spiando gli intrallazzi dei morosi.
Una sera chiesi a mia madre se potevo andare anch'io. Sorrise e poi, preoccupata: "sei matta? meglio se mi dai una mani in negozio.., tuo padre non me lo perdonerebbe mai..".
Frase scontata. E' che mio padre non c'era più dall'agosto dell'anno prima e noi avevamo un disperato bisogno di soldi.
Non è che mamma non volessi mandarmi per questioni morali: fare la mondina è un lavoro umile ma onesto e dignitoso, anche se molto faticoso, nessuna madre manderebbe la figlia a spaccarsi la schiena in campagna per 7 ore al giorno. Nessuna.
La decisione di lavorare venne come una folgorazione e ci vidi delle gran belle opportunità: soldi contanti ogni settimana, abbronzatura caraibica, indipendenza economica. A 17 anni agognavo più di ogni altra cosa essere autonoma.
Così, all'alba del giorno dopo fui pronta sotto casa, zainetto in spalla, cappellino in testa, scarpe di gomma, in pratica munita dell'attrezzatura completa per cominciare.
Quella mattina, solo a pedalare per quei pochi kilometri fino al campo diedi fondo a tutte le energie e vedere le altre farsi il segno della croce prima di iniziare mi inquietò parecchio.
Mi segnai anch'io ed entrai coi piedi nella risaia. Non avete idea della sensazione pazzesca che provai! Mi sentii avvolgere le gambe da una massa di fango caldissima, mentre la mia vicina indicò delle piantine da estirpare, ci diedi dentro alla grande.
Due ore dopo cominciai a sentire delle fitte alla schiena e nella pausa pranzo non toccai boccone. Il pomeriggio fu lunghissimo, faticoso, durissimo. Alle quattro, quando smettemmo, avevo ormai lo stomaco contratto. Percorsi la strada in un amen, a casa feci una doccia veloce e mi buttai sul letto.
Un ciarlare continuo, pettegolezzi della sera prima, quando si attardano sedute sulla panchina di fronte al bar, spiando gli intrallazzi dei morosi.
Una sera chiesi a mia madre se potevo andare anch'io. Sorrise e poi, preoccupata: "sei matta? meglio se mi dai una mani in negozio.., tuo padre non me lo perdonerebbe mai..".
Frase scontata. E' che mio padre non c'era più dall'agosto dell'anno prima e noi avevamo un disperato bisogno di soldi.
Non è che mamma non volessi mandarmi per questioni morali: fare la mondina è un lavoro umile ma onesto e dignitoso, anche se molto faticoso, nessuna madre manderebbe la figlia a spaccarsi la schiena in campagna per 7 ore al giorno. Nessuna.
La decisione di lavorare venne come una folgorazione e ci vidi delle gran belle opportunità: soldi contanti ogni settimana, abbronzatura caraibica, indipendenza economica. A 17 anni agognavo più di ogni altra cosa essere autonoma.
Così, all'alba del giorno dopo fui pronta sotto casa, zainetto in spalla, cappellino in testa, scarpe di gomma, in pratica munita dell'attrezzatura completa per cominciare.
Quella mattina, solo a pedalare per quei pochi kilometri fino al campo diedi fondo a tutte le energie e vedere le altre farsi il segno della croce prima di iniziare mi inquietò parecchio.
Mi segnai anch'io ed entrai coi piedi nella risaia. Non avete idea della sensazione pazzesca che provai! Mi sentii avvolgere le gambe da una massa di fango caldissima, mentre la mia vicina indicò delle piantine da estirpare, ci diedi dentro alla grande.
Due ore dopo cominciai a sentire delle fitte alla schiena e nella pausa pranzo non toccai boccone. Il pomeriggio fu lunghissimo, faticoso, durissimo. Alle quattro, quando smettemmo, avevo ormai lo stomaco contratto. Percorsi la strada in un amen, a casa feci una doccia veloce e mi buttai sul letto.
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