11 marzo 2015

A Casale Monferrato, festa della donna 2015!

Aria di primavera, incredibile fine settimana di sole e tanto movimento!


Un sacco di cose belle ultimamente vengono da me ritrovate in cantine, vecchie case, oggetti vissuti, riportati al loro splendore!



L'angolo teiere, lattiere e zuccheriere resta un punto fisso per le amiche collezioniste, amo la loro eccitazione quando si avvicinano al banco e controllano le novità!


Il servizio Anita di Seltmann Bavaria, in bagno d'argento, è qualcosa che bisogna vedere in diretta, la foto non gli rende giustizia, la teiera ha una fattezza che da sola potrebbe occupare il posto d'onore come soprammobile importante! Spero di trovargli presto qualcuno che lo adotti :)


La mia nonna materna, Angiolina, così raccontava...

Dopo aver saputo che andavo a mondare, la nonna appena poteva alla sera mi telefonava. Non voleva crederci che io, così delicatina, schifiltosa e piena di pretese riuscissi a stare nei campi. Sapevo che era orgogliosa di me, anche se mai le uscì una parola di incoraggiamento. Avrebbe voluto che proseguissi la scuola, la monda non mi avrebbe portato oltre al lavoro da manovale. 

Sorrideva e faceva spallucce quando le dicevo che avevo mondato un campo da paura, pieno di “porri” che m'avevano spaccato le mani, borbottava che mica era mondare quello che facevo, io giocherellavo, visto che i diserbi lasciavano ben poco da togliere. Eppoi 7 ore cos'erano, confronto alle sue 12 e il trapianto? Fatto giusto negli angoli dove il trattore aveva lasciato vuoto, mica capitava quando passavano i seminatori, a mano. Poi si pentiva d'avermi demotivata e mi diceva che le ore andate erano comunque uguali nel presente e nel passato, piegate si deve stare e la fatica c'è tutta. Così partiva a raccontare della sua gioventù e di come andavano allora le cose.

Gli anni più duri in cascina furono quelli del fascismo. I miei nonni avevano accettato il regime, perché dal loro padrone ne sentivano parlare bene, diceva che Mussolini era stato a Pavia e aveva dato ordine di sovvenzionare i proprietari terrieri perché potessero migliorare le colture, assumendo ancora di più manodopera, trattandola meglio perché lavorasse sodo e bene, voleva che il prodotto italiano fosse il migliore del mondo e la Lomellina, così diceva il Duce “era il suo fiore all'occhiello”

Naturalmente i braccianti avevano capito subito che le sovvenzioni erano rimaste nelle tasche dei padroni e la loro paga era rimasta come prima, come le condizioni di vita infami che avevano, quasi da schiavi. Anche i piccoli fittavoli ebbero di che lamentarsi, perché solo le grandi proprietà furono aiutate, mentre le piccole caddero sotto la “protezione” dei padroni che così sfruttavano non solo anche il loro terreno ma pretendevano la manodopera.

Nonna Angiolina diceva che per le mondine locali l’arrivo delle forestiere portava solo grane. Il treno da Pavia le scaricava in piena notte in stazione dopo ore e ore pressate come bestie nei vagoni e fino al mattino successivo i padroni non andavano a prenderle. Le donne, stremate, salivano poi sui trattori diretti alle cascine. Non avevano neppure il tempo di metter giù la valigia di stracci, che subito venivano divise in gruppi e condotte agli argini delle campagne da mondare. 

A sera cucinavano e facevano amicizia con le altre. Ogni ragazza locale aveva il suo bel da fare per cercare di non farsi portare via l’uomo dalle forestiere. Molte di loro erano sposate, con figli, e venivano a lavorare in Lomellina per aiutare la famiglia, Sapevano del sacrificio che le aspettava, mesi lontane dalla loro casa, dal marito, ma tante altre, sistemate e non, volevano divertirsi e lo facevano a spese dei poveretti che stavano nei paesi vicini. C’era chi si teneva l’amante fisso in trasferta e il marito a casa!

A cena finita le più disinibite si sedevano attorno al fuoco sull’aia, lasciandosi guardare da gruppetti di ragazzi e uomini venuti in bicicletta apposta per spassarsela un po’. Magari salutavano presto la fidanzata e via di corsa a caccia di mondine. Quante si sono fermate, innamorate perse di uno del posto. Venete, emiliane, liguri… Da mia nonna stavano soprattutto bresciane e piacentine che non si sopportavano molto e se le davano tra loro di santa ragione!! Certo le forestiere avevano tempo di svagarsi alla sera, mentre le mondine locali oltre al lavoro in risaia dovevano accudire la famiglia e sistemare la casa.

Per le locali la risaia non era un fenomeno transitorio ma costante, presente nella loro vita: esse lavoravano il doppio o il triplo in campagna, al contrario delle braccianti in trasferta solo per due mesi, in quanto cominciavano a febbraio con gli interventi di pulitura della risaia, proseguivano durante la monda vera e propria che avveniva da maggio a fine giugno e con il trapianto in luglio, finché, lasciate partire le forestiere, le donne del posto venivano mandate ad estirpare il crodo, finendo con il dare un ultimo aiuto, se richiesto, a settembre con la mietitura, questa effettuata quasi esclusivamente dagli uomini, come accadeva per la semina.

Quindi, il fatto di avere maggiori impegni e responsabilità nei confronti di chi era invece solo di passaggio restava, in effetti, un punto d'incontro difficile, oltre ad altre differenze di cultura e di costumi. Le donne che abitavano in cascina avevano una collocazione stabile, mentre le reclutate spesso venivano spostate e inserite in altri compiti non subordinati direttamente alla campagna, lavori di natura a volte maschile, molto faticosi. Inoltre le forestiere venivano un po' soggiogate dalle locali che le trattavano con inferiorità, tenendole sempre sott'occhio e al primo sgarro portate dal padrone per essere da lui umiliate.
Eppure, tra tanti dissapori e conflitti tra le campagne, nelle squadre di mondine venivano condivisi tanti problemi, da quelli legati alla famiglia, ai figli, al lavoro, al trattamento ingiusto della donna. Le mondine, anche se appartenenti a gruppi sociali diversi, se non antagonisti, erano accomunate dalla loro condizione sociale fragile.

Ai tempi del fascismo però qualcosa cambiò, soprattutto per le locali, che, trovandosi con difficoltà domestiche sconosciute alle forestiere, ebbero un aiuto incredibile dalla formazione di asili e nidi che potessero accogliere i bambini in età prescolare, altrimenti abbandonati alle cure di fratelli anch'essi piccoli o all'incuria delle corti, se non lasciati addirittura in fagotti posti sull'argine.

Nello stesso periodo vennero organizzati anche i pasti, altro problema duro da risolvere, in quanto, se la donna restava nei campi tutto il giorno, difficilmente era possibile per lei preparare da mangiare.
Dapprima le donne si alzavano a turno alle due di notte, sorteggiate nelle squadre, per mettersi a cucinare almeno del riso bollito con verdure per il pranzo e della minestra per la cena. Venne però il giorno in cui nelle cascine più grandi cominciarono ad organizzarsi veri e propri refettori, ai quali potevano accedere anche le mondine locali. Il proprietario terriero disponeva di locali adibiti a cucine e a turno delegava delle donne alla preparazione dei piatti caldi serali.

Nonna mi raccontò anche della dura battaglia per mantenere i salari a 11 lire, anziché 10 centesimi meno. Tra gli anni ’30 e ’35 ci fu una grave crisi, il Governo decise di abbassare gli stipendi ai risaroli per favorire l’esportazione dei nostri cereali e battere la concorrenza straniera.

Si diffuse il malcontento tra le file dei lavoranti, fino a superare ogni barriera gerarchica. Nonostante il no deciso dei padroni e l’intervento di sindaci, polizia e sindacati fascisti, nella stagione del ’31 ci fu uno sciopero generale. Il Governo però non poté cedere sulle paghe, e cercò di dribblare diminuendo le ore lavorative.

Ma le mondine non volevano lavorare di meno, volevano più soldi a giornata!! Certo per le locali le 8 ore potevano andare bene, ma per le forestiere la riduzione dell'orario era una presa in giro, visto che avevano interesse a lavorare il più possibile per quei due mesi di trasferta, non volevano perderci un terzo del guadagno. Locali e forestieri arrivarono quasi alle mani per tale motivo.

In mezza giornata vennero allestiti convogli per collegare Pavia a Vercelli, città in cui il Governo decise di costituire l’Ente Nazionale Risi. Quel giorno i treni scaricarono in stazione fiumi di contadini e mondine pronti per manifestare. Nonostante fossero dei moderati, anche i miei nonni presero parte al corteo, cantando a squarciagola i canti di protesta.

Il successo non fu quello che si aspettavano gli appartenenti al settore risiero, anche se apportò alcuni miglioramenti nel vitto e nelle condizioni di vita dei braccianti.

Era davvero gente mite, quella di campagna. Durante la guerra il comportamento dei miei nonni fu remissivo e sottomesso. All'apparenza, perché come per molti altri abitanti di cascine mai si rifiutarono di aiutare qualche disertore o sbandato, a nonna sembrava di aiutare il suo stesso figlio, il suo stesso fratello. In Lomellina la Resistenza non aveva avuto azioni vistose come nel Monferrato, agiva in modo più sordo, ma comunque fondamentale per minare la sicurezza fascista.

Finché all'alba del 25 d'aprile del '45 si presentò un messo comunale che affisse davanti al portone della chiesa un manifesto: “Io Comandante Festini ordino alla popolazione la calma assoluta e l'ordine perfetto. Il paese è tornato libero ed ora il primo impegno di noi, cittadini italiani, è quello di ricostruire e di risanare l'Italia. Coloro che saranno sorpresi in disordini nella popolazione saranno puniti secondo le leggi di guerra”.

La cascina dove stavano i nonni, grande come un paese e a quell'ora già brulicante di vita, di uomini e donne in partenza per la campagna si bloccò completamente. La nonna teneva al collo mia madre di appena un anno, le baciò la testa piccolina, i capelli profumati e corse da mio nonno che stava nelle stalle a mungere. Chiunque urlava “la guerra è finita” “ la guerra è finita”, sembravano matti. I bambini senza mutande giravano per l'aia, le madri s'erano dimenticati di loro, le galline annaspavano il mangime che quel giorno neppure arrivò, talmente l'intera comunità era invasa dall'euforia, pazza di gioia. 

Non mancarono comunque anche lì le rappresaglie antifasciste e per qualche settimana nei cascinale furono tenuti dei coprifuoco e delle ronde per sorvegliare i pagliai, i silos, onde evitare incendi e danni da parte di folli. Di buono c'era che il lavoro in campagna incalzava talmente i lavoranti da raffreddare i bollori di tutti, che stanchi morti, alla sera crollavano nel loro giaciglio, senza forza per andarsene in giro a far cagnara.